Casinò Venezia: Cassazione rende definitive le sanzioni Mef sui milioni bruciati dal broker ai tavoli

Dopo 10 anni la Suprema Corte di Cassazione chiude la vicenda sul caso del broker che giocò in buona parte al Casinò di Venezia, ben 9,6 milioni dei suoi risparmiatori.

Si chiude dopo 10 anni una vicenda legata al Casinò di Venezia su una maxi sanzione di anti riciclaggio per un caso di un broker che giocò ben 9,6 milioni di euro per la maggior parte proprio nelle case da gioco lagunari.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso per revocazione proposto dalla società Casinò di Venezia Gioco Spa contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze: ora le violazioni contestate sono definitive.

La pronuncia

Secondo gli Ermellini “gli indici di anomalia sono sostanzialmente istruzioni volte ad agevolare gli operatori e che si tratta solo di indicatori che da un lato non esauriscono le ipotesi possibili di operazioni sospette e dall’altro non costituiscono il necessario presupposto perché l’operazione debba essere segnalata. In altri termini, la mera ricorrenza di comportamento descritti nell’indicatore non è motivo di per sé sufficiente per la segnalazione di operazioni sospette, così come l’assenza di indicatori previsti nell’allegato può non essere sufficiente a escludere che l’operazione sia sospetta. I predetti indici, come peraltro evidenziato dalla Corte d’Appello, non sono esaustivi del potere/dovere dell’operatore di valutare complessivamente le operazioni al fine di ritenere sussistente o meno il loro potenziale carattere sospetto per finalità di riciclaggio o Corte di Cassazione – copia non ufficiale di finanziamento al terrorismo”.

Il giudizio complessivamente espresso dalla Corte di Cassazione, dunque, “si svolge sul piano del diritto, e prescinde dalla sussistenza di una specifica contestazione dei singoli indicatori previsti dal D.M. de. 17.2.2011, ritenuti (per l’appunto) meramente indicativi per l’operatore. La Corte, in altri termini, ha ritenuto che il giudizio di fatto complessivamente espresso dalla Corte distrettuale fosse esente da vizi utilmente denunziabili in sede di legittimità e, per questo motivo, ha rigettato il terzo motivo di ricorso che era stato proposto, avverso la decisione di seconde cure, dagli odierni ricorrenti. Si tratta di una valutazione in punto di diritto, non fondata su alcuna svista percettiva, onde il denunziato vizio revocatorio non sussiste.
Il rigetto del motivo proposto in sede rescindente impedisce l’esame del motivo articolato in sede rescissoria, con il quale viene riproposto il terzo motivo dell’originario ricorso in Cassazione. In definitiva, il ricorso dev’essere rigettato. Le spese del presente giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza”.

La cronaca 

I fatti risalevano tra il 2011 e il 2015. La confessione resa nel marzo 2015 alla Guardia di Finanza fece scattare gli approfondimenti anche sul fronte antiriciclaggio, portando a contestare alla casa da gioco l’omessa segnalazione di operazioni sospette.

Nel 2018 il Ministero dell’Economia irrogò una sanzione amministrativa di circa 250 mila euro alla società di gestione del Casinò. Quest’ultima si difese sostenendo di aver adempiuto agli obblighi previsti, limitati – a suo dire – alla tracciabilità dei flussi e all’identificazione dei vincitori, e sostenendo che l’operatività di quel cliente non presentasse profili anomali tali da giustificare una segnalazione. Tribunale e Corte d’Appello di Roma hanno però confermato la multa, ritenendo inadeguati i controlli svolti dall’operatore di gioco.

Nel 2024 la Cassazione aveva già respinto un primo ricorso, affermando un principio chiaro: gli obblighi antiriciclaggio non si esauriscono in verifiche formali. E questo pronuncia ricalca la stessa linea.

La Corte ha quindi rigettato il ricorso di revocazione e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidate in 8.200 euro oltre accessori di legge