L’analista di gaming Mauro Natta esamina ancora il tema della futura gestione del Casinò di Saint Vincent, ponendo alcuni quesiti dirimenti.
di Mauro Natta
C’è un interrogativo al quale mi riesce oltremodo complicato rispondere: prima o poi in Consiglio regionale verrà all’ordine del giorno la discussione in merito alla scelta gestionale per il futuro della casa da gioco e del complesso alberghiero annesso, quanto ne esiste in argomento noto alla cittadinanza?
Da cittadino residente occupato dal settembre 1959 al giugno 1944 e dal luglio successivo al dicembre 2000 con diverse mansioni che mi consentono di conoscere bene l’impresa casa da gioco, mi permetto quanto di seguito.
Il primo periodo con una gestione in concessione al privato, Sitav Spa, il secondo con un gestore pubblico. Per la precisione il primo periodo ha visto il complesso Grand Hotel Billia gestito dalla Saav Spa, società a capitale privato.
Nel modo più assoluto non mi sogno di parlare del complesso alberghiero in quanto non mi ritengo minimamente esperto in materia contrariamente al rimanente che mi vede, a quasi 85 anni, impegnato a scriverne sotto molteplici aspetti.
Ora, tanto per iniziare, vorrei affrontare la motivazione per la quale, in Italia, esistono quattro case da gioco autorizzate, in deroga alle norme del codice penale sul gioco d’azzardo. Non c’è da negare che, a datare dal 1927, la causale è sempre da ricercarsi nell’agevolare, appunto con la casa da gioco, il soddisfacimento degli impegni inderogabili di cui al bilancio degli Enti pubblici, allo sviluppo turistico e all’occupazione diretta e dell’indotto.
La domanda che, presumibilmente, ci si può attendere penso è la seguente: quali sono le motivazioni che hanno fatto propendere l’ago della bilancia e quale la differenza, in soldoni oggi e, se possibile, in prospettiva, tra le due soluzioni che gli studi predisposti avevano indicato?
Ne seguono necessariamente altre quali:
“quanto versa all’amministrazione regionale il concessionario pubblico e quello privato”? 1)
“quali sono le motivazioni a supporto del fatto che con la concessione al privato la Regione incassa di più?” 2)
“quanto paga di imposte varie la Regione in relazione ai ricavi di gioco e quanto all’utile di bilancio in quanto azionista”? 3)
“in quale modo può e/o deve controllare l’esattezza dei ricavi di gioco la Regione se il gestore è pubblico o privato”? 4)
“in quale titolo sono classificate le entrate che alla Regione derivano dalla gestione della casa da gioco”? 5)
Ecco le risposte come potrebbero essere agevolmente comprese:
1) nel caso di gestione pubblica un esempio potrebbe consistere nel 10 percento dei ricavi di gioco, se la gestione è privata la percentuale richiesta e richiedibile è, senza dubbio alcuno superiore.
2) la gestione pubblica consente la destinazione dell’utile di bilancio all’azionista, nel caso in esame la Regione, in aggiunta alla tassa che il concessionario pubblico versa all’amministrazione regionale; nel caso di gestione privata è quest’ultimo soggetto a beneficiare dell’utile di bilancio, quindi risulta normale che la tassa di concessione sia più consistente.
3) l’amministrazione regionale, in ogni caso, paga l’imposta sugli intrattenimenti (Isi) consistente in un importo perfettamente identico in quanto l’imponibile è uguale, il 10 percento sui ricavi di giochi dedotto quanto il concessionario paga al concedente.
4) in argomento non devo altro che rimandare a quanto sostengo da molto tempo, senza essere il solo a praticarlo e, al tempo stesso, negare che possano esistere metodo e/o procedura mirate a raggiungere il fine che mi si propone di illustrare. Così come ho spesso scritto si tratta di mettere in confronto tutti i risultati di ogni gioco da tavolo con gli elementi che hanno permesso la loro completa rilevazione, netto mance e lordo inconfutabilmente tavolo per tavolo.
5) Al titolo primo del bilancio, alla voce entrate tributarie. Ritengo che su questa mia affermazione non possa esistere alcuna riserva in quanto mi allaccio al dettato di una legge, esattamente la n. 488/86 che interviene a convertire l’articolo 19 del Dl n. 318/86. E’ proprio dal disposto della richiamata norma che mi spingo frequentemente a sorreggere il diritto dovere di controllo da parte della Regione tramite il Corpo controllori regionali in servizio al casinò.
Stante la premessa, mi riservo di affrontare, se del caso, la problematica solo ed esclusivamente in quanto riferita alla parte tecnica e/professionale. L’intento è quello di rendere conosciuto, bene inteso a chi interessa, il momento del quale si parlerà per qualche tempo e per quanto mi sarà fattibile contribuire.
Foto di Laurin Steffens su Unsplash






