Il clima economico non è dei migliori, ma l’andamento del gioco online è in continua crescita: l’analisi di Mauro Natta.
In un clima di incertezza economica non è assurdo ipotizzare un calo della disponibilità per un prodotto certamente non indispensabile e facilmente raggiungibile tramite la concorrenza che offre il mercato: il gioco online che ha riscontrato un miglioramento degno di nota con i giochi da casinò e non solo.
Non pare eccessivo immaginare un simile scenario dopo aver potuto osservare il modo con il quale gli introiti derivanti dalle slot intervengano sul totale dei proventi realizzati dalle case da gioco italiane.
Appare, invece, credibile pensare a una crescente incidenza del costo del lavoro e una decrescente rilevanza dei cosiddetti giochi tradizionali, ne consegue una conseguenza logica e provata sulle entrate accessorie volte a confortare il costo del lavoro da un lato e migliorare il trattamento economico complessivo dei lavoratori dall’altro.
A questo punto il ripensare ad una situazione complessiva che il disposto di cui all’articolo 3, lett, i) del Decreto conosciuto come quello dell’armonizzazione in data 1997 n. 314, pareva aver accantonato con la soddisfazione di ogni avente causa e migliorabile già allora; senza dubbio alcuno la situazione non era quella attuale.
A fronte di un minore utile per le gestioni dei casinò non si può trovare che un calo delle entrate tributarie, così come le definisce la L. 488 del 1986, a favore degli enti pubblici periferici proprietari e concedenti la gestione delle quattro case da gioco italiane.
Non rileva molto il fatto che le concessioni siano affidate a società a capitale pubblico o privato ai fini di quanto precede. Se in un caso, il primo, l’utile eventuale rimane alla parte pubblica a disposizione per essere spalmato sul territorio, dall’altro, il privato, l’utile rimane al gestore ma, permettetemi la definizione, la tassa di concessione dovrebbe consistere in un importo maggiore.
Mentre dal punto di vista teorico il ragionamento potrebbe filare, dobbiamo necessariamente porci l’interrogativo se l’utile è ragionevolmente prevedibile, se il pensiero sul ritorno dell’investimento ha convinto i gestori e se l’eventuale perdita potrebbe causare una minore disponibilità finanziaria per l’ente pubblico concedente.
Certamente mi potrete considerare più o meno catastrofico ma le possibilità eventualmente narrate potrebbero verificarsi, è meglio prevenire…
Si potrebbe ritenere un simile atteggiamento lontano e speriamo che non debba accadere; in questo caso un pensiero a possibili correttivi potrebbe preventivarsi con una attenta valutazione dei possibili interventi atti a non attivare una diminuzione delle entrate per il concedente, per la fiscalità generale e per l’occupazione.
Molti si potrebbero domandare se esistono le condizioni per una azione o meglio l’insieme di più interventi utili a far fronte, anche preventivamente, alla paventata situazione: lo ritengo possibile e cercherò di chiarire il come.
La sentenza n. 1775 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia ai croupier recita: Il sistema mancia è retto da un uso normativo si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 (la citata sentenza della Cassazione del 1954 è la n. 672 del 9 marzo) tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti e il gestore…
Mi permetto aggiungere che il primo beneficiario è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita, cioè la mancia; d’altra parte sarebbe paradossale che partecipo alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare.
La sentenza del Tribunale di Venezia in data 19 febbraio 1975, in causa Comune di Venezia c. Enpals e Bevilacqua: “… è pacifico che le mance in questione sono elargite dai giocatori vincenti e metà di esse è trattenuta dall’impresa che gestisce la casa da gioco e l’altra metà (ora non è più così Ndr) viene distribuita tra i dipendenti addetti al gioco… Le mance provengono pertanto da un terzo e sono corrisposte in occasione della vincita del donante… Neppure è possibile configurare le mance come partecipazione agli utili dell’impresa. Le mance, infatti, nulla hanno a che fare con il guadagno dell’impresa, essendo esse elargite in concomitanza con una perdita da parte del gestore… Era ed è, infatti, inconcepibile che una somma possa essere riconosciuta come reddito solo ai fini fiscali e non anche ad altri fini.
Mi permetto di aggiungere ciò che alcuni esperti di diritto tributario e del lavoro hanno rilasciato in quanto consultati e di sicuro valore e competenza.
Non appariva logico, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico che una attribuzione patrimoniale sia qualificata come “compenso” ad un effetto (quello fiscale) e non ad un altro effetto (quello lavoristico e previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presupponeva necessariamente quest’altra.
Se il legislatore, nella sua autonomia e discrezionalità, aveva ritenuto di assoggettare a tassazione le mance non poteva, di fronte ad un identico presupposto impositivo, tenere un differente comportamento per quanto all’aspetto contributivo, il riferimento al Decreto n. 314/97 è evidente.
Appurato che la vincita al gioco nei casinò autorizzati è esente da Irpef in capo al giocatore vincente, si tratta di trovare il modo per garantire una entrata tributaria all’ente pubblico titolare della autorizzazione alla casa da gioco che tenga anche debito conto del fatto che la stesso ente assolve all’imposta sugli intrattenimenti (art.2, punto 2, Decreto legislativo 26 febbraio 1999, n.60): “Nel caso in cui l’esercizio di case da gioco è riservato per legge ad un ente pubblico, questi è soggetto d’imposta anche se delega ad altri la gestione”.
La gestione versa al concedente ente pubblico una percentuale sui proventi; l’eventuale utile di bilancio della gestione in ultima analisi rimane a disposizione del concedente in quanto azionista. Certamente detto utile sarà maggiore se il costo della produzione sarà inferiore. Ciò si potrebbe ottenere detassando (così come avviene per l’intero) la mancia che ne è una parte (la più piccola).
Il dipendente provvederà quindi, nei modi che saranno stabiliti, ad una pensione integrativa, relativamente alle mance, in aggiunta a quella sulla retribuzione ordinaria.
L’ente pubblico concedente potrebbe essere esentato dal corrispondere al fisco l’imposta sugli intrattenimenti e una somma pari al conseguente temporaneo risparmio andrebbe ad incrementare la disponibilità dello stesso ente. In definitiva potrebbe trattarsi di una compensazione, il condizionale mi è d’obbligo per la mancanza di specifica cultura.
Scusandomi per la forma da poco conoscitore della materia trattata con la quale mi sono permesso di indicare una possibile soluzione ad una problematica che viene da molto lontano, ringrazio per l’attenzione al problema.
Foto di Gabriel su Unsplash







