L’analista di gaming Mauro Natta esamina il tema del fenomeno del riciclaggio nei casinò, ricordandone la storicità e le norme che mirano a combatterlo.
di Mauro Natta
Non è la prima volta che si legge “L’ombra del riciclaggio sul casinò di Saint Vincent”. Mi sono consultato con ex colleghi esperti e reputo calzante concludere che, nonostante le nuove norme, non è possibile aggirare completamente il problema. Tra l’altro mi pare che la Commissione parlamentare antimafia fosse giunta alla medesima conclusione.
Già l’8 marzo del 2013 gli uomini della Direzione investigativa antimafia si sono presentati negli uffici amministrativi del casinò di Saint Vincent e, contemporaneamente, in quelli di Campione, Sanremo e Venezia. Il sospetto era che la malavita organizzata utilizzasse i casinò come lavatrici per ripulire i soldi derivanti da attività illecite.
Trent’anni prima, nel 1983, un analogo blitz nelle quattro case da gioco italiane, se ricordo bene il famoso blitz di San Martino, ebbe conseguenze inimmaginabili, decapitò i vertici del casinò valdostano, sconvolse e coinvolse la classe politica locale e portò all’arresto dell’allora presidente della Regione.
In questi ultimi anni sono state introdotte delle norme mirate a scoraggiare il riciclaggio, come l’identificazione e la registrazione di chiunque cambi somme superiori a 2000 euro (in seguito 5000).
Secondo la Commissione parlamentare antimafia, mi pare aver capito, esistono tre modi per riciclare denaro nei casinò: il primo è l’acquisizione diretta della gestione, il secondo è la ripulitura mediante il gioco diretto e il terzo è l’attività dei cambisti, prestasoldi ad usura.
Escludendo la scalata della gestione del casinò, in Valle sono state evidenziate negli anni attività riconducibili agli altri due sistemi. Nonostante le nuove norme riciclare denaro nelle case da gioco non è impossibile.
Nel febbraio del 2011 due persone sono state accusate di aver riciclato 500 mila euro al casinò di Saint Vincent. Il sistema è semplice: è sufficiente farsi cambiare in fiches gli assegni, vagare tra i tavoli senza giocare o quasi e farsi ricambiare nuovamente le fiches in contanti e lasciare il casinò.
Ma la più grande operazione giudiziaria degli ultimi anni è stata condotta dalla Dia di Palermo che ha portato all’arresto, nel settembre 2006, di tredici persone accusate di aver riciclato ben 5 milioni provenienti essenzialmente da estorsioni, usura e traffico di droga. Mi pare di ricordare che una ondata di assoluzioni abbia chiuso la questione.
Il precedente cenno storico ha lo scopo di ribadire il concetto per cui nonostante le nuove norme riciclare denaro nelle case da gioco non è impossibile. Ciò mi pare significhi che il percorso amministrativo (norme) non consente di eliminare il problema; oggi nel 2025 ci si trova allo stesso punto: dopo l’ennesimo blitz le parti lese o quelle che si ritengono tali si rivolgono, questa volta, ad una titolatissima Task Force con lo scopo dichiarato di porre in essere un nuovo e diverso sistema di norme che, aggiunte alle precedenti, permettano di scrivere la parola fine queste odiose pratiche.
Saltando a piè pari la parte critica in quanto non vorrei scivolare in una sorta di “accanimento terapeutico” cerco di fare un passo verso la “parte propositiva”.
Se il problema, come sembra, non si può risolvere agendo esclusivamente sul livello normativo/amministrativo appare logico doversi concentrare sul livello operativo.
A un dirigente tecnico di gioco esperto, se debitamente informato sui movimenti che riguardano i grossi giocatori (contante – assegni – bonifici sia in ingresso che in uscita), generalmente conosciuto come “direttore giochi”, non possono certamente sfuggire, se non casi isolati e di modesta entità, comportamenti anomali del tipo narrato a mezzo stampa: faceva finta di giocare/simulava puntate etc. (tecniche elementari e ben conosciute che in gergo sono chiamate “ minimal play – chip dumping – smurfing – hedging …” a maggior ragione se questi si manifestano con buona frequenza e riguardano dei giocatori Vip.
Tuttavia credo di poter riconoscere che, da quando sono in pensione (2001), la figura del direttore giochi sia stata notevolmente ridimensionata, da “dirigente” a “quadro aziendale” delegando parte delle prerogative a figure provenienti dal ruolo amministrativo. Spero di essermi espresso onestamente e anche di essere stato compreso.
Questa scelta gestionale è giustificabile, a mio avviso, in quanto l’Azienda, alla fine della fiera, si deve confrontare con la parte politica (proprietà) e il compito risulta facilitato per il fatto di provenire tutti da esperienze amministrative.
Quindi tutto bene? Sì, forse, ma ci sono degli effetti collaterali.
Nel caso in cui avvenissero “incidenti” in un determinato reparto, o più reparti collegati, la responsabilità di norma ricade sui dirigenti di riferimento che non hanno vigilato sufficientemente sul buon operato dei rispettivi subalterni, a maggior ragione se gli incidenti non risultano isolati ma protratti nel tempo quasi metabolizzati dal sistema.
Nel caso specifico, ad una prima visione dell’organigramma aziendale mi è stato possibile intuire che uno dei pochissimi dirigenti aziendali, se non l’unico, sia, appunto, l’amministratore unico.
La conclusione logica potrebbe sembrare scontata, ma ancora non è così.
Sarebbe, infatti, disumano pretendere che un “unico dirigente” possa farsi carico sia della parte amministrativa che solitamente si svolge di giorno (orario di ufficio), sia della parte operativa che, notoriamente si svolge prevalentemente di notte e nei fine settimana (orario di apertura delle sale). In aggiunta i due ruoli, gioco ed amministrativo, prevedono competenze specifiche che derivano da percorsi di carriera totalmente distinti.
Il tutto per arrivare alla conclusione che eventuali colpe, a mio modo di vedere, potrebbero essere ricercate anche nel modello gestionale. Molti lo condividono, e personalmente mi includo anche perché ho avuto il piacere di vivere il modello nel quale c’era un consiglio di amministrazione, un direttore generale, un direttore giochi, un direttore amministrativo e impiegati amministrativi a contatto col pubblico.
Dove il Dg tiene i rapporti con la proprietà e con la stampa mentre il direttore giochi e il direttore amministrativo, operando di concerto, oltre a rispondere dell’operato dei rispettivi subalterni diretti, hanno responsabilità paritetiche e condivise anche per quanto avviene in tutti i settori ausiliari al gioco.
Ora passo a un argomento che non è stato compreso per la effettiva portata in risultati. Ormai mi sono stancato di scrivere che molte indicazioni possono pervenire dal c.d. “controllo a posteriori” che in poche parole evidenzia, in percentuale, la natura degli importi che formano gli incassi netti di gioco (contanti/introiti netti di gioco, o, viceversa, titoli/introiti netti di gioco) e agisce, se usato correttamente, come “prima linea” nell’individuazione di potenziali attività di “riciclaggio organizzato” siano esse mirate a trasformare contante in titoli o titoli in contante.
Non è questo il momento, ma con una certa urgenza si potrebbe rendere necessario un analogo ragionamento per quanto riguarda le norme tecniche e comportamentali per il personale tecnico di gioco che, a parere dello scrivente e per quanto si legge, dovranno essere quantomeno ripristinate.
Anche in questo caso forse ci si potrebbe rivolgere, più che ad un professore universitario, a qualcuno di mestiere, ovviamente con il dovuto rispetto per entrambi.
In chiusura mi permetto aggiungere, stante la delicata situazione, che sarebbe consigliabile affiancare all’attuale Au un assistente/consulente operativo molto esperto e possibilmente estraneo alle “attuali dinamiche aziendali” che possa sovraintendere e/o presidiare le sale da gioco durante la loro attività con cognizione di causa meglio se di concerto, nel rispetto delle diverse responsabilità e competenze con funzionari operativi del controllo regionale e ciò nell’interesse generale.
Gli argomenti che intendevo sviluppare all’inizio erano due: il controllo a posteriori sulla regolarità del gioco e l’organizzazione del lavoro certamente collegabile. Del primo, come accennavo, ne ho scritto troppo, del secondo in forma più estesa ne scrivo per la prima volta e, forse, l’ultima sperando di essere stato chiaro.
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