Karma Police: il gioco come esperienza religiosa

Una nuova rubrica, a cura del pungente Marco Trucco, propone spunti, riflessioni e (soprattutto) provocazione sulla rivista IGE Magazine: riportiamo qui un estratto dell’articolo pubblicato sul numero di settembre/ottobre 2025 della rivista, che consigliamo di leggere in versione integrale.

Una rubrica con un titolo rubato da David Foster Wallace, rifancendoci al suo celebre “Infinite Jest”, non può che essere iniziata mentre Jannick Sinner perde la finale dell’US Open e la Luna è in eclisse totale. Anche se con l’Editore, in realtà, volevamo chiamarla “Il Gaming come esperienza religiosa”, parafrasando più esplicitamente il grende scrittore (cit. “Roger Federer as religious experience“), che sarebbe stato, a nostro giudizio, il titolo perfetto. Ma gli stringenti limiti tipografici ce lo hanno impedito: anche se questo è da ritenere il vero titolo morale di questa rubrica.

Il motivo di questo titolo (virtuale) è presto detto: il gioco d’azzardo “E'” un’esperienza religiosa, nel senso che risponde ai medesimi bisogni (rituali, gesti apotropaici, ricerca dei segni del destino, miracoli, abbandono all’irrazionale, dialogo con un ente superiore indecifrabile distributore randomico di grazie, comunità) e può generare la medesima dipendenza senza sostanza della fede religiosa (l’unica dipendenza socialmente promossa e ancora obbligatoria in molti Paesi, guarda caso quelli dove non si può giocare).

Una società basata sul gioco e il culto del caso sono la premessa del fenomenale romanzo “L’uomo dei dadi” di Luke Rhinehart; e il Dioniso di Nietzsche, l’unico in grado di competere con gli dèi maggiori, è il discendente della Tyche greca e Fortuna romana.

Quindi, per quanto possa sembrare strano, le nostre piccole app e le nostre piccole promo sono la kryptonite dell’industria della fede, ed è per questo che, visceralmente, sono detestate dai loro rappresentanti, uomini eletti, uomini votati e uomini comprati. 

Quella che noi vendiamo è una concorrenza dionisiaca e materialista, splendidamente egoista, un modo di stare al mondo che si fa beffe della provvidenza cattolica, della meritocrazia calvinista, del primitivismo della sharia, e persino della dottrina dell’attaccamento generatore di sofferenza del buddhismo theravada. Un principio ormai talmente accettato universalmente che è il substrato filosofico di tutti i film Disney.

Invece  è divertente pensare che, salvo adottare un teismo non-interventista, l’esistenza del gaming richieda una divinità che faccia gli straordinari per decidere il risultato di ogni singolo spin su Sweet Bonanza. 

Con il gioco d’azzardo mettiamo in dubbio (anzi, direi sfatiamo completamente) la fantasia che la fortuna sorrida ai buoni ed eluda i malvagi, che esista una giustizia, un bilanciamento delle colpe, un karma. 

Il nostro mondo ha il grande privilegio di minare alcune delle fondamenta della convivenza civile costruite sul wishful thinking, snobbare valori largamente condivisi solo perché imposti da dottrine di sottomissione, e nello stesso tempo rivelare una realtà incontestabile ma amorale, spietata e non-redistributiva. Che non piace a nessuno, più o meno come la logica Darwiniana, ma che piaccia o meno è irrilevante. Per molti, uno spin è uno spin, una puntata sulla Juve è solo quello: una puntata sulla Juve. Un passatempo. Ma basta poco per accorgersi che è un gesto di sfida, di auto-determinazione, il rifiuto di una visione consolatoria della vita.  Per questo non mi stupisce affatto che ci puntino il cannone addosso tutti quelli che da secoli sucano il proprio benessere vendendo altre illusioni. In Campo dei Fiori a Roma c’è spazio per ergere ancora molte statue. 

(Foto: Alberto Santos-Dumont, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons)