Casinò St. Vincent al bivio, le variabili rischio e bilancio

L’analista Mauro Natta esamina i due diversi scenari gestionali del Casinò di Saint Vincent, alla luce della differente propensione al rischio e valutazione del risultato di bilancio.

 

di Mauro Natta

Due sono le opzioni in tema di futuro gestionale del casinò di Saint Vincent e del complesso alberghiero del Grand Hotel Billia.
Continuità con l’attuale metodologia della società a capitale pubblico o concessione della gestione ad una società a capitale privato.

Quali le differenze? Delle tante ne considero due: la differente propensione al rischio dovuta principalmente alla natura del capitale impiegato e la diversa valutazione del risultato di bilancio in relazione alla tassa di concessione.
Per quanto alla prima individuo la valutazione dell’investimento sulla scorta del ritorno dello stesso e il rischio di insolvenza totale o parziale derivante dalla concessione di credito.

Non potrebbe sfuggire che un più gravoso impegno nei servizi alla clientela potrebbe anche rivelarsi una perdita ancorché temporanea e che una perdita su crediti è più probabile nel caso di effettivo capitale di rischio nella prospettiva di una maggiore preventivabile e possibile utilità.

Certamente il dettato dell’articolo 1933 del Codice civile può far sorgere il cosiddetto “braccino corto” più facilmente relativamente al capitale impiegato.

È altrettanto da considerare il risultato del bilancio che in un caso, dopo la corresponsione del canone, rimane a disposizione dell’azionista pubblico; mentre in corrispondenza di un canone superiore è in possesso dell’azionista privato.

L’ente pubblico concedente dovrà condensare nel ragionamento sul canone il dovere di garantire al privato l’agibilità della gestione sia nel quantum del canone che nella sua durata. Un canone che in tutti i casi rimane con la natura giuridica che le vigenti disposizioni (L. 488/86) definiscono tra le entrate tributarie.

Nelle due tipologie gestionali considerate, sempre in considerazione della citata natura giuridica, rimane il controllo che il concedente deve esercitare sulle entrate sulle quali si calcola la tassa di concessione. Un controllo che estendendosi alla regolarità del gioco e, conseguentemente, degli incassi garantisce l’ente pubblico sull’entità assunta a base del calcolo di quanto dovutogli dal gestore.
Con una piccola aggiunta, certamente non obbligatoria per il concessionario privato, il concedente potrebbe permettersi un controllo sulla gestione relativamente al trend senza dover attendere la pubblicazione del bilancio.

D’altra parte non penso ci sia nulla da obiettare se il concedente, posto l’interesse al ricevimento del quantum dovutogli dal gestore e del dover garantire allo stesso l’equilibrio dell’attività, ne segue, per quanto di proprio e rilevante interesse l’andamento commerciale.
Non desidero addentrarmi nelle valutazioni politiche a favore di una o dell’altra soluzione. Sicuramente avranno un peso specifico non indifferente e, solo di uno mi pare si possa brevemente accennare quale possibile pericolo e/o ostacolo: la rilevanza dell’appartenenza nei confronti della competenza.

Quanto immediatamente precede ha valenza soltanto nella scelta della continuità gestionale e dovrebbe, come augurabile per le eventuali conseguenze, essere tenuto in debita considerazione dai decisori.

In primis occorre aver presente l’interesse dell’ente pubblico concedente che non può derivare se non dalla competenza e professionalità di coloro che sono posti in posizioni apicali. Al tale proposito vorrei rammentare – e qui riemerge il dirigente sindacale – la differenza tra un quadro aziendale e un dirigente.

Non si potrebbe nutrire alcun dubbio sul fatto che il concessionario privato non tiene conto di altro che non sia la professionalità, la competenza ed un curriculum, mi si permetta l’espressione, sostanzioso e provato.

Mentre, invece, nell’altro caso di modalità gestionale, il pericolo cui mi sono permesso fare cenno, può divenire reale.

 

Foto di Grooveland Designs su Unsplash