Casinò Campione, al via azione di responsabilità contro ex amministratori e sindaci: ‘Pagare 80 milioni di euro’

Il Casinò Campione d’Italia promuove un’azione di responsabilità nei confronti di alcuni ex amministratori e sindaci in carica dal 2011 al 2018.

 

L’attuale società di gestione del Casinò Campione d’Italia ha avviato un’azione di responsabilità nei confronti di diciassette ex amministratori e sindaci (in alcuni casi si tratta degli eredi) dello stesso, in carica dal 2011 al 2018, “allorquando la stessa società è fallita”. La delibera di procedere in tal senso risale allo scorso 19 dicembre e in particolare, si legge nell’azione arbitrale avviata, si contesta “la violazione dell’obbligo di redazione del bilancio di esercizio” secondo i canoni del codice civile, come pure “la continuazione dell’attività d’impresa dopo la perdita del capitale sociale, avvenuta quantomeno a partire dal 30 aprile 2012”, come pure di “non aver operato con la dovuta diligenza, effettuando operazioni dannose per la società, senza essersi adoperati, pur consci dell’assoluta necessità di farlo, per implementare un doveroso piano di ristrutturazione, in particolare dei costi aziendali, che avrebbe potuto e dovuto eliminare le criticità strutturali determinative delle ingenti perdite senza soluzione di continuità registrate, in via solidale tra loro, per i periodi in cui gli stessi hanno costituito l’organo amministrativo della Municipale prima e di Casinò di Campione poi”.

Nella domanda di arbitrato si ricorda che “la crisi della società ha preso le mosse dalla stipula dell’accordo transattivo con il Comune nel 2011, e a seguito del quale sono emerse le prime rilevanti difficoltà economico-finanziarie”. evidenziando che “con il suddetto accordo transattivo il Comune e la società hanno convenuto di transigere le loro rispettive pretese in relazione al lodo arbitrale del 2010; e, di fatto, con la transazione la società ha rinunciato all’impugnazione incidentale del lodo, con la quale era stata richiesta la condanna del Comune al pagamento, in aggiunta alle somme già riconosciute nel lodo, di un importo ulteriore di Euro 30.000.000, a fronte di impegni del Comune del tutto insufficienti a garantire pro futuro la stabilità finanziaria della società e la risoluzione delle criticità strutturali (del tutto evidenti) che determinavano le costanti perdite” e si sottolinea che “gli amministratori allora in carica hanno sottoscritto il predetto accordo transattivo nonostante le gravissime perplessità espresse dai professionisti coinvolti dagli amministratori stessi proprio al fine di valutare l’opportunità di sottoscrivere l’accordo, e finanche dai sindaci, i quali a più riprese hanno rilevato l’inadeguatezza dell’accordo transattivo, sollecitando piuttosto la ricapitalizzazione della società e, comunque, la predisposizione di un serio piano di ristrutturazione dei costi”.

Le preoccupazioni espresse dai consulenti e dai sindaci “sono prontamente divenute realtà e, infatti, il bilancio del 2011 ha chiuso con una perdita rilevantissima (di oltre euro 40 milioni). Questa perdita ha trovato copertura esclusivamente nelle operazioni di conferimento, del marchio e dell’usufrutto decennale dell’immobile presso il quale veniva esercitata l’attività della Casa da gioco, eseguite nel 2011, rispettivamente per il valore di euro 22,7 milioni ed euro 67,2 milioni. Tuttavia, i valori attribuiti a tali conferimenti erano fittizi o, comunque, gravemente sopravvalutati. Ove i conferimenti del 2011 fossero stati correttamente valorizzati, la società si sarebbe trovata, quantomeno a partire dal 30 aprile 2012, certamente nella situazione di cui all’art. 2447 c.c. e, quindi, non avrebbe dovuto proseguire con l’attività di impresa. Ciononostante, la società ha continuato ad operare secondo logiche di continuità, senza che gli amministratori improntassero la gestione secondo criteri di salvaguardia e, in ogni caso, senza che gli stessi amministratori si preoccupassero di implementare soluzioni per porre rimedio ai problemi strutturali che continuavano a determinare rilevantissime perdite di esercizio”.

Così “la società ha continuato a inanellare perdite, e nel 2014 le riserve di conferimento relative alle operazioni del 2011 (comunque del tutto sopravvalutate) sono state integralmente erose e, infatti, il bilancio del 2014 ha chiuso con un patrimonio netto di – euro 27 milioni. Al fine di garantire la continuità aziendale, gli amministratori hanno allora avvallato una nuova operazione di conferimento, con la quale l’usufrutto dell’immobile, già conferito sino al 2021, è stato conferito anche per il periodo 2021-2041, per il valore di euro 137,1 milioni.
Anche questo conferimento è stato sopravvalutato, e le perdite maturate sino al 2014 non avrebbero certamente trovato copertura nei conferimenti del 2011 e del 2014, se questi fossero stati correttamente valorizzati”.

Quanto ai sindaci, a questi ultimi è imputato di “non aver diligentemente svolto il controllo ad essi demandato sulla gestione della Municipale e di Casinò di Campione in relazione alle condotte imputate agli amministratori”, omettendo di “attivarsi – pur consci essi stessi della criticità nella gestione delle società – con i soci e/o, una volta constatata la costante inerzia dell’organo amministrativo, ricorrendo allo strumento della denuncia ex art. 2409 c.c.; tutto ciò, in via solidale con gli Amministratori e tra loro Sindaci, per i periodi in cui essi hanno fatto parte del collegio sindacale”
Gli amministratori e i sindaci dovranno dunque rispondere del danno subito dalla società per l’importo complessivo di euro 80.016.223,80.

Nella domanda di arbitrato, inviata dallo Studio Dla Piper, il Casinò sottolinea (l’atto è datato 9 settembre) che “la società, fin dal 30 aprile 2012, non avrebbe dovuto proseguire la propria attività sociale, essendosi verificata una evidente e conclamata causa di scioglimento della stessa” e che “risulta macroscopicamente evidente la mala gestio di tutti gli amministratori convenuti, ai quali è imputabile il dissesto di Casinò di Campione, avendo loro proseguito l’attività sociale in assenza delle condizioni atte a consentire la continuità aziendale”, il tutto mentre si registra una “sostanziale acquiescenza acritica dei sindaci all’operato degli amministratori“.